venerdì 18 settembre 2015

ROVISTANDO TRA I RICORDI




Oggi, mettendo in ordine dei cassetti, mi sono capitate tra le mani un mio diario e una cartellina che ho riconosciuto con un tuffo al cuore.
Li ho aperti e ho sfogliato quelle pagine con le mani che tremavano e il cuore che mi batteva forte.
Ho trovato pensieri miei e di persone che mi sono state vicine in alcuni momenti più duri della mia vita.
Le lacrime hanno cominciato a scendere silenziose, le parole mi hanno scavato l'anima.
Voglio condividere con voi una lettera in particolare.
Perchè è piena d'amore. Perchè ancora oggi come allora mi ha fatto piangere. 
Non farò il tuo nome perchè so che sei una persona molto riservata, ma voglio che le tue parole che erano per me, arrivino anche ai cuori degli altri.
Di quella lettera, ancora oggi, ti dico grazie.

3 novembre 2009

"Cara Annarita,
so bene cosa tu stia passando e il tenerti informata attraverso le email che ti invio non hanno logicamente lo stesso significato che ricoprono per gli altri, ma ho scelto di inserirti per tenerti aggiornata sulla vita di un posto che è cresciuto anche grazie a TE!
Credo che nell'abbraccio che ci siamo dati domenica ci sia tanta amicizia e tanto rispetto che in questi anni non abbiamo mai perduto uno nei confronti dell'altro e lo continuo a nutrire per la tua persona, per la tua fantasia, per la tua voglia di metterti in gioco sempre..Tu sei così e sono sicuro che questo è solo un momento della tua vita, non può essere una situazione che perdurerà perchè hai Dio dentro di te e non è da tutti avere il suo sostegno.
Ricordi quando la nostra amica stava male? Quale tenacia tu su tutti hai dimostrato, quale amore per la vita, per la "sua" vita, quale profondità nel pregare costantemente?
Ora tutto quello che hai dato per gli altri devi darlo a te stessa. Prima amor proprio e poi amor altrui.
So che non è facile, ma sei circondata da così tanto amore che non puoi non rialzarti da questa situazione,
Guardati intorno e vedrai che sei amata tanto...devi convincertene, devi crederci, sei un dono su questa terra e devi splendere, non puoi oscurarti.
Chi ti circonda ha bisogno di te, della tua presenza, del tuo sorriso, della tua unicità.
Quando domenica ti ho dato la Comunione e mi hai stretto la mano ho sentito il quel momento la tua forza. Mi hai stretto la mano come per non farmi andare via.
Ecco. Volevo dirti che io ci sono, anche se corro da una parte all'altra, ma ti penso e ti assicuro che sei il mio primo pensiero nelle mie preghiere quotidiane.
SEI GRANDE, SEI INDISPENSABILE PER MOLTI, TI VOGLIAMO RIVEDERE VOLARE ALTO...
Un abbraccio e ti scriverò presto.
Con affetto D. "

mercoledì 16 settembre 2015

"Ama mihi cum mererem minus, quoniam erit cum ne egerent." (Catullo)

Amami quando lo merito meno, perché sarà quando ne avrò più bisogno.





Amami … non solo quando sorrido, sono serena, in forma, soddisfatta, col trucco perfetto e senza qualche chilo in più.

Non solo quando dico “si” … o mi barcameno per accontentare tutti.

E’ troppo facile amare in quei momenti … e poi, anche se mi impegno per essere tutte queste cose … in alcune non riesco quasi mai!!

Amami quando sono delusa, stanca, preoccupata e sconfitta.

Amami quando sono pungente, provocatoria e a volte ti faccio del male.

Amami quando fallisco e mi sento una nullità.

Amami quando mi perdo e mi sento insicura.

Amami quando sono egoista.

Amami quando sono petulante e ossessiva … quando ti metto fretta e pianifico troppo.

Amami quando sono pigra e ho voglia di stare a casa a non far niente … o poco.

Amami quando mi lamento e sono nervosa … anche per colpa degli altri.

Amami quando ho paura del futuro … e quando mi soffermo troppo a guardare il bicchiere mezzo vuoto e non quello mezzo pieno.

Amami quando piango … è il mio modo di urlare le mie paure, le mie incertezze, il mio dolore.

Amami quando fisso il vuoto pensando troppo.

Amami senza smettere di rispettarmi mai.

Amami quando le spine sembrano più dei petali.


Amami nei momenti in cui nemmeno io riesco ad amarmi.


"Ama mihi cum mererem minus, quoniam erit cum ne egerent." … Amami quando lo merito meno, perché sarà quando ne avrò più bisogno.


Annarita

martedì 8 settembre 2015



STORIA DI AMICHE E MAGLIONI







L’abbraccio dell’amicizia ha due ingredienti fondamentali e imprescindibili.

Il primo è la scoperta di ciò che ci rende simili … il secondo è il rispetto reciproco di ciò che ci rende diversi.

L’amicizia è un viaggio meraviglioso intorno al cuore..un viaggio con fermate e partenze, ma che non ti stanca mai.
Le amiche sono come i maglioni.

Sai che il primo giorno d’autunno, quando l’aria comincia a rinfrescare, apri l’armadio e li trovi li ad aspettarti.

Alcune sono “maglioni di pura lana” … pizzicano un po’, ma ti tengono calda.

Sono le amiche che ti tirano su anche con manieri forti, ti spronano e ti pungolano per farti reagire.

Alcune sono “maglioni trendy”, ti fanno ridere, sorridere e ti coinvolgono con la loro energia … anche quando non ne hai tanta voglia.

Poi ci sono le amiche “felpa”.

Quelle di cui non puoi fare a meno perché sono un misto dei due capi precedenti.

Anche quando si rompe la chiusura lampo, o sono un po’ consumati dai ripetuti lavaggi, sono i capi che indossiamo quando siamo tristi, quelli con cui ci sentiamo più comode e a proprio agio.

Sono le amiche che chiamiamo quando il viaggio ci sembra troppo lungo … quando, nei giorni di freddo pungente, puoi accendere camini, indossare maglioni di lana, accucciarti sul divano con la copertina, ma quello strano freddo rimane li.

Sono quelle che ti dicono “ti voglio bene” anche senza parole, solo col cuore e i gesti, riaccendendo in te la candela spenta da un’improvvisa raffica di vento o da un gelido inverno.

Sono quelle che sanno consolarti … sempre!!!

E sono quelle con cui non vedi l’ora di raccontare qualcosa di bello che ti è successo … perché non puoi non condividere con loro la tua gioia e i tuoi successi.

E poi ci sono quelle che sono “ maglioni di acrilico”.

Ci puoi mettere litri di deodorante … usare il Napisan … ma puzzano sempre.

A quel punto… meglio non indossarli … e inserirli nel sacco del “non reciclabile”!

Annarita

lunedì 7 settembre 2015

METTICI LA FACCIA



Vorrei sapere cosa spinge le persone a fare del male gratuito agli altri.
Vorrei sapere che gusto ci si trova a ferire le persone cercando di colpire nei sentimenti o nelle cose che hanno segnato la propria vita.
Vorrei sapere quanto si sentono forti dietro la tastiera di un pc o nascondendosi dietro la dicitura "anonimo".
Vorrei sapere se si sentono forti in uguale misura ripetendo le stesse cose guardandomi in faccia...dritto negli occhi.
Vorrei sapere da dove vengono tanto astio e maldicenza.
Vorrei sapere...ma le persone meschine non hanno il coraggio di uscire allo scoperto.
TU...che tanto ho capito chi sei, hai il mio numero di cellulare...sai dove abito...se hai qualche conto in sospeso con me...METTICI LA FACCIA!

martedì 1 settembre 2015

SOLE,  MARE, VACANZE ... E NON SOLO


Le mie lunghe vacanze sono finite e ora mi ritrovo a dover fare i conti con valige, borsoni e un'infinità di cose da riordinare e sistemare, nell'ardua impresa di far rientrare tutto negli armadi e trovare un posto a ciò che in questo momento è disseminato per casa.
Di solito, nei giorni che precedono la fine delle vacanze, la mia mente lavora alla ricerca di traguardi da raggiungere durante l'inverno.
Quest anno ho prefissato la precedenza a uno solo, troppo personale da scrivere qui, ma che spero col tutto il cuore di riuscire a raggiungere.
La malinconia che ha accompagnato il distacco dalle persone a me care, sto cercando di metterla da parte e di questa estate voglio parlarvi solo riguardo una categoria di persone che mi ha sconvolto: "GLI ASSALITORI DI BUFFET" .
Premetto che anche io sono un'amante del buffet e ho adottato una mia particolare tecnica affinchè nel piatto riesca ad incastrare come in un puzzle perfetto tutto quello che possa soddisfare la mia gola.
Ma quello che non riesco a capire è come si possa perdere la propria dignità davanti a un tavolo di aperitivi.
La mia attenzione è stata catturata da un individuo che, sotto gli occhi e le risate di tutti, è riuscito a conquistare per un mese di seguito la pole position aggiudicandosi il premio "migliore assalitore di buffet". 
E' riuscito a barcamenarsi da un tavolo all'altro con la destrezza e l'agilità di un velociraptor, a afferrare e riempire piatti con l'impossibile (e a ingurgitarli pure), ad escogitare piani e sotterfugi per essere sempre al posto di combattimento prima degli altri.
Mi è sembrato di vedere uno di quei documentari sugli animali con la differenza che in quel caso non si  combatteva per la conquista di un territorio o di una preda, ma per abbuffarsi di pizzette, rustici e patatine.
Ora io mi chiedo: "Ma come farete una volta tornati nelle vostre case? Vi procurate la lista delle inaugurazioni dei negozi dove poter mangiare a scrocco?"


lunedì 24 agosto 2015

SE STRINGI LA MIA MANO CE LA FARO'



Avrei voluto essere meno fragile, meno ansiosa,meno paurosa, piu’ autorevole e determinata.
Avrei voluto essere meno malinconica e avere più forza e coraggio nell’affrontare la vita.
Ma non ho potuto scegliere.
L’unica scelta che ho è cercare di smussare gli angoli più spigolosi e di trovare la forza ogni volta che annego.
Ho dato retta a persone sbagliate.
Mi sono attaccata a false promesse.
Mi sono fidata di chi non lo meritava.
Ho messo la mia vita in mano a persone sbagliate.
Mi sono sentita stupida e sbagliata.
Ho indossato maschere per nascondere il dolore e armature per cercare di difendermi da quello che mi procuravano gli altri.
Ho cercato di trattenere le lacrime ma ho capito che invece piangere mi allevia un po’ la sofferenza e mi permette di salvare un po’ il mio cuore.
Sono andata avanti cercando di trovare rifugio negli abbracci di chi mi ama e amo.
Sono andata avanti anche se spesso non tutti riuscivano a comprendere cosa sentivo nella mia anima e quanto male mi facesse.
Mi sono data la buonanotte tra lacrime e preghiere.
Mi sono svegliata sperando di non svegliarmi.
Mi sono svegliata sperando di trovare la forza di prendere in mano la mia vita e il coraggio di buttarmi a capofitto nelle cose da fare.
Ora nella mia vita mi auguro meno dubbi e più speranze.
Mi auguro di riuscire a fare pace semplicemente guardandosi negli occhi, prendendosi la mano e posandosela sul cuore.
Mi auguro di imparare a vedere i colori della vita, nonostante ce la metta tutta per essere in bianco e nero.
Mi auguro di imparare a ripetermi che ce la farò. Sicuramente.
Mi auguro di riuscire a far sentire alle persone che ho vicino il mio amore e ad essere per loro certezza e forza.
Mi auguro di riuscire ad amarmi di più.
Ad essere forte.

Ad essere mia.
Ad essere nostra.

Annarita

mercoledì 15 luglio 2015

 LETTERA APERTA A ... MIA FIGLIA







Adorata Figlia mia,
hai tutte le doti per fare della tua vita un capolavoro...
Rifletti prima di agire.
Convoglia le tue inesauribili energie in qualcosa di positivo...sempre!
Sii sicura di te stessa, di quello che sei e di quello che puoi dare.
Affronta la vita con la serenità e la consapevolezza che al tuo fianco hai chi ti ama profondamente e non ti lascerà mai.
Sarò al tuo fianco sempre.
Ti sorreggerò quando cadrai e ti aiuterò a rialzarti,
Godrò con te dei tuoi successi e ti aiuterò a sopportare il peso delle sconfitte e a superarlo.

I figli sono come dei palloncini...prima o poi ti sfuggono di mano e non puoi fare a meno di lasciarli andare...Sono passati 18 anni...spero di averti dato ali per volare.. radici per tornare.. e motivi per rimanere...

DANZA SEMPRE LA VITA FIGLIA MIA...

Buon compleanno figlia mia...ti amo tanto


Mamma Annarita

lunedì 13 luglio 2015

RICORDI INDELEBILI







Più o meno all'età di mio figlio Leonardo, in alcuni momenti della giornata mi rifugiavo nell'armadio di mia madre.

I suoi vestiti erano ancora tutti li, mio padre non tolse nulla.
Quando non mi trovava in giro per casa, apriva l'armadio, ero li! 

Alla domanda: "cosa fai?" rispondevo sempre allo stesso modo: "sento l'odore".

Sí, probabilmente temevo di perdere anche il suo profumo oltre al contatto e la sua voce. 

Ancora oggi, dopo moltissimi anni, l'imprinting e' indelebile.
Il suo odore lo porto sempre con me.

A tutte le mamme, lunga vita!


Silvia

giovedì 9 luglio 2015

LETTERA APERTA A...TE



Cara TE,
non so cosa non ti sia andato bene di me...forse la mia cucina che hai mangiato tutte le volte che sei venuta a casa mia, mentre io la tua non l'ho mai vista... O forse tutte le colazioni che ti sono state offerte in segno di amicizia che per me è sacra... O forse l'accoglienza "tutta spesata" della mia famiglia...o forse...non so...dimmi tu...perchè io non l'ho capito.
Giorni fa ti ho visto...impossibile non notarti con quel colore improponibile di capelli...sono sicura che anche tu mi hai vista ed è per questo che ti sei fiondata nel tuo portone.
Potevi fare con calma...non ti avrei chiamato: non ho niente da dirti.
Ciò che non capisco è quello che continui a postare su "facciadilibro"...che nel tuo caso dovrebbe chiamarsi "facciadac@@o" ...di cosa dovrei essere gelosa io nei tuoi confronti? Di cosa dovrei essere invidiosa?
Non riesci a capire neanche l'ironia che mi contraddistingue. 
Ho già spiegato il significato del nome di questo blog...e non ha niente a che fare col fatto che io mi senta  una regina....quindi la foto di cui sopra te la potevi anche risparmiare...io sarò un insetto...tu invece sei proprio una donna "SEMPLICISSIMA"!!!

Con questo chiudo...ho speso già troppe parole...tu continua a pensare a me visto che non hai altro a cui pensare.
Cordialmente

Annarita la reGINA

lunedì 6 luglio 2015


CONFESSIONALE




La mia mente torna indietro nel tempo, alla mia adolescenza.
Ragazza solare, simpatica, estroversa, anima delle compagnie, sempre con il sorriso.
Dietro questa apparenza, un grande disagio: la difficoltà di affrontare gli imprevisti e le prove della vita.
Il pianto facile, l'ansia da prestazione, la paura di deludere chi credeva in me, il desiderio di essere la figlia, l'amica, la ragazza perfetta.
Sono cresciuta nell’amore incondizionato di due splendidi genitori, ma educata sempre alla paura del giudizio degli altri, in un piccolo paese dove, ancora oggi, lo sport preferito è quello di sparlare e elaborare voli pindarici sulle persone, creando film inesistenti dal nulla.
Ho vissuto sdoppiata nelle mie due nature, cercando di nascondere la parte di me che ero sicura non sarebbe piaciuta agli altri...la parte più fragile e vulnerabile.
Ma questo mi ha portato a non crearmi la corazza necessaria per poter affrontare la vita da adulta...non ho filtri...non ho barriere.
Non sono stata capita e quando il mio disagio è diventato purtroppo evidente, sono stati in molti a meravigliarsi di questa parte di me.
Mi sto mettendo allo sbaraglio parlando così di me perchè so che tanti non capiranno, tanti si prenderanno gioco di me...ma spero che questa testimonianza possa essere d'aiuto a chi vive come me e spero che possa far sentire un inetto chi mi ha giudicato senza sapere.
Depressione, ansia, attacchi di panico non sono sinonimo di follia...ma di disagio.
Un disagio che ti nasce nell'anima e ti logora.
Un disagio con cui cerchi di lottare ogni giorno e che ti annienta quando ti sconfigge.
Ho passato giorni in cui la luce di un nuovo giorno che filtrava dalle persiane, era una delle mie peggiori nemiche. Volevo dormire...per non pensare...per non affrontare la vita.
Una vita che non è stata cattiva con me, ne sono consapevole.
Mi ha dato cose e persone meravigliose, ma di cui non sapevo e riuscivo a godere…e questo a volte mi succede, purtroppo,ancora oggi, quando posso dire che il peggio, ringraziando Dio, è passato.
Essere catapultata nel cosiddetto “mondo normale” era la cosa che mi spaventava di più.
Mi mancavano le forze, mi sentivo  come una bambola di pezza afflosciata su se stessa, ma anche come una marionetta a cui bisognava muovere i fili per farle fare qualsiasi cosa.
Davanti a me troppo spesso un tunnel nero...ero pervasa dalla paura di affrontare un nuovo giorno, con tutte le sue responsabilità e l’impegno che richiede.
Mi venivano chieste forze ed energie che non avevo … volevo solo stare al buio, rannicchiata come una bambina indifesa …  avevo bisogno di essere abbracciata e accarezzata in silenzio, senza che nessuno mi chiedesse di dare quello che non riuscivo a dare.
E’ come se il mio corpo fosse distaccato dalla mia mente, come se non mi appartenesse più.
Non mi riconoscevo nemmeno più io.
Dov’era finita quella che ero?… O forse … quella che pensavo di essere?
La mia mente è annebbiata, i pensieri si accavallano, il mio corpo non risponde … tante volte ho pensato che non sarei riuscita a rialzarmi ancora una volta.
Mi sentivo in colpa.
In colpa per non avere energie. In colpa per non essere quella che avrei voluto essere. In colpa per non essere quello che gli altri avrebbero voluto.
Fuori c’era la vita … ma io forse non la volevo più.
Tante volte avrei voluto riprendermi  la mia vita, ma avevo l’impressione che era la vita a non volersi riprendere me.
Mi guardavo allo specchio e non riconoscevo nemmeno il mio sguardo: i miei occhi erano spenti, assenti, vagavano chissà dove, chissà in quali meandri dell’anima.
Avevo freddo, non so se più freddo fuori o dentro.
Ho avuto paura della notte. Ho avuto paura di dormire.
Nel sonno tutte le mie paure prendevano corpo e io non ero in grado di dominarle. Mi sentivo strappare l’anima e la testa scoppiare … il cuore esplodermi nel petto … e io non volevo dormire.
Avevo paura di morire … lentamente … non nel corpo ma nell’anima. Non sapevo dove sbattere la testa.  Mi sono sentita in colpa per chi mi era vicino, ma non era giusto nemmeno per me. 
Ma la mia mente stava dicendo basta alla vita.
Forse ho preteso troppo da me stessa.
Ho cercato di condurre una vita "normale" ... ed era quella che chi non conosceva la mia situazione, ha giudicato e condannato.
Sono sbagliata …. Questo pensiero mi accompagna ormai da anni e condiziona la mia vita e troppo spesso mi fa sentire dentro una nullità, un essere insignificante, causa del dolore degli altri.
Penso ai miei giorni bui e al mio desiderio di essere diversa, ma per quanto mi sforzassi … continuavo a non piacere.
Ho letto il dolore negli occhi delle persone che amo di più.
E un giorno ho dovuto per forza di cose rimboccarmi le maniche e rialzare la testa per affrontare il cambiamento radicale che era avvenuto nella mia vita.
Mi dovevo reinventare una vita, la nostra vita.
Quante volte ho implorato Dio di darmi la forza, di non abbandonarmi, di aiutami in questo cammino impervio, pieno di sassi, di buche, di voragini!!!!!
Passa il tempo e io continuo a cadere e a rialzarmi.
Ancora oggi a volte mi perdo nel labirinto della vita, ma ora ho al mio fianco una persona che è “la mia risorsa” .
Sto cercando di fare del mio meglio a piccoli passi, uno dietro l’altro…anche se non è facile…anche se ancora ci sono volte in cui mi sento persa...anche se ancora deludo chi mi ama e amo.
Ricostruire rapporti importanti  da zero, cercare di sopportare i fallimenti, riconoscere i miei limiti, ma cercare di andare avanti verso un obiettivo :distruggere il mostro che per anni ha abitato dentro di me.
E una bella botta devo dire che gliel’ho data…anzi…gliel’abbiamo data!!!
In questo lungo percorso di vita voglio ringraziare le persone che mi sono state vicine e mi hanno supportato e sopportato...e ancora continuano a farlo… il mio compagno…le mie figlie…i miei genitori…la mia famiglia…i miei amici.
Ho bisogno di voi...del vostro amore, della vostra pazienza e, quando è necessario, del vostro perdono.
A voi  auguro tutto il meglio di questa vita.
A chi mi ha giudicato senza sapere...a chi ha puntato il dito per sfregio e per puro gusto di far del male, invece, auguro di non trovarsi mai nella mia situazione, di non provare mai cosa significhi essere vivi..e sentirsi MORTI.
E infine voglio chiedere scusa a me stessa…per tutte le volte che non mi sono AMATA e che non mi AMO.

mercoledì 1 luglio 2015

SIAMO COME I COLORI DELL'ARCOBALENO...MA PURTROPPO QUALCUNO E' DALTONICO!





Non sono una mamma perfetta, non lo sono mai stata per quanto mi sforzi di esserlo. 
Ho tante fragilità, paure e insicurezze che mi rendono molto vulnerabile.
Sono stata una mamma molto giovane, a volte inesperta, che ha fatto tanti errori, ma ho cercato di fare sempre del mio meglio. Quale immensa, meravigliosa e determinante responsabilità è affidata ai genitori nel compito di crescere i figli!!! Ci vuole la pazienza di Giobbe e la forza di Sansone!!!
Niente è più importante per la formazione di una giovane vita del tempo e dell'attenzione che viene loro dedicata, come pure di un esempio valido da seguire, un modello da poter imitare...e sono proprio i genitori il primo specchio che hanno davanti.
Trasmettere dei valori saldi è stato il mio obiettivo e penso che, almeno in questo, ci sono riuscita.
Uno dei valori che mi sono prefissata di donare alle mie figlie è stato quello dell'uguaglianza, dell'accoglienza, della generosità e dell'apertura verso gli altri.
Non è facile spiegare a dei bambini tante cose, l'ho fatto a modo mio, cercando di dare alle loro domande, risposte semplici e guidarle in situazioni particolari, tenendole per mano e facendo capire che, cose che ai loro occhi potevano apparire strane, erano in realtà normali.
Così, alla scuola materna, il bambino con problemi fisici dalla nascita, incapace di essere autosufficiente, era un "bambino speciale" che andava aiutato e amato più degli altri.
Così il bambino di colore, che qualcuno non voleva far giocare perchè "marrone e non bianco come noi", era un bellissimo compagno che veniva da un posto lontano e da cui si aveva tanto da imparare.
Così il bambino che a causa di una malattia aveva perso una gamba, era come tutti gli altri, bisognava solo giocarci con più di attenzione.
Così gli amici della mamma che avevano un fidanzato invece di una fidanzata, erano persone che amavano e basta.
Le mie figlie sono cresciute nell'accoglienza, senza pregiudizi e senza puntare il dito contro chi, purtroppo, viene indicato dalla società come "diverso".
Sono orgogliosa di loro...e mi prendo un pò il merito delle donne che sono oggi.

lunedì 29 giugno 2015


CHI DECIDE COS'E' LA NORMALITA'?



Se ne fa un gran parlare. Ci se ne riempie la bocca e si sparano sentenze. Ci si divide in fautori e detrattori. Io sono per la libertà. Libertà di essere e di amare. Senza pregiudizi. Senza barriere. Senza avere la pretesa di decidere chi e cosa è normale e cosa non lo è.
Chi decide "la normalità"? La massa?
Sono per il "la mia libertà finisce dove comincia la tua"...per cui sono contro le estremizzazioni ma senza fare differenza tra etero e omo...non mi piacciono le etichette.
Non esistono gay e etero: Viva la libertà di amare chi si vuole!
Conosco la sofferenza di chi non ha avuto il coraggio di "fare outing", la paura di non essere accettato...anche dalla propria famiglia, che poi è il dolore più grande.
Ma tutto questo rientra in un quadro di mentalità ancora chiusa, dalla paura e la vergogna di essere giudicati dagli altri.
Ho amici che per natura hanno fatto una scelta diversa dalla mia, ma sono quelli che mi amano senza secondi fini. Persone dal cuore e dall'anima grandi, di cui non mi sono mai vergognata ma che ho sempre esaltato. Persone pulite...mentre tanti etero non lo sono.
L'AMORE NON HA UNA SOLA DIMENSIONE...questo è il mio motto.
Tutto questo "bla bla bla" fa più male che bene...per affermare i propri diritti si supera purtroppo spesso la soglia della decenza, quando basterebbe guardare oltre i corpi e guardare solo i cuori.
Non tutti sono ancora pronti. I tempi non sono maturi.
Ma la mia speranza è che presto si arrivi a un mondo dove l'ignoranza ceda il posto alla sensibilità e all'accoglienza.
Ricordiamoci che dietro a quel ragazzo o ragazza su cui puntiamo il dito, un giorno ci potrebbe essere nostro figlio/a.

giovedì 25 giugno 2015




Anche io ho sofferto di omofobia lieve. Sono nata agli inizi degli anni Sessanta, in un paesino ai piedi della montagna, in Valsugana, lungo le rive del Brenta.
Quando ero bambina la mia percezione dell’omosessualità si riferiva ad un episodio di cui avevo sentito parlare a proposito di un pedofilo che bazzicava nella stazione di Padova. L’associazione tra omosessualità e pedofilia e quindi perversione era dunque netta.
Quando ero in prima o seconda media e chiesi chi era Pasolini mi fu detto che era uno sporcaccione. Quando avevo 13 anni ricordo che, pensando all’omosessualità, immaginavo mio fratello mentre baciava un suo amico di cui ero innamorata, e la cosa mi turbava molto.
Mi turbava perché quell’idea di perversione che avevo respirato condizionava il mio immaginario, mi era rimasta nella pancia e anche se cominciavo a sentire e vedere che esistevano omosessuali nel mondo e non sembravano degli sporcaccioni, quell’imprinting era come un filtro tra me e loro
Come ho fatto a liberarmi da questo immaginario?
Ho avuto la fortuna di essere una persona curiosa. Ho cominciato presto a girare l’Italia per lavoro, ho conosciuto moltissima gente, ho avuto la fortuna soprattutto di incontrare omosessuali dichiarati (inizialmente solo maschi, le lesbiche «non esistevano») dentro le loro case, di entrare nella loro intimità. Ma se io non avessi avuto l’occasione dell’esperienza della conoscenza, quel filtro non si sarebbe dissolto e forse sarei ancora lì a provare turbamento immaginando due uomini in un letto (e le donne non le immaginerei).
Spesso persone che stimo per la loro cultura e che sono realmente convinte della necessità di lottare per i diritti civili di gay, lesbiche e trans, ammettono che PERO’ se ne vedono due per strada che si tengono per mano si irrigidiscono, provano turbamento. Perché non si tratta di essere colti o meno, qui si tratta di cosa ci si porta addosso, nell’ombelico.
Fobia significa paura oggettivamente ingiustificata. Qualcosa che mi turba senza un reale motivo. L’omofobia non è solo quella violenta degli insulti, delle sprangate in un vicolo. Che sia ingiustificabile l’omofobia violenta siamo sempre (quasi) tutti d’accordo. C’è una forma di omofobia che tutti e tutte ci portiamo addosso, chi più che meno, e che ha a che fare con la cultura che ci ha nutriti di stereotipi e paure, in un paese omofobo e sessuofobico. Io la chiamo omofobia lieve. L’omofobia lieve è quel disagio che sentiamo addosso anche se a parole diciamo di rispettare tutti, quando percepiamo nel nostro intimo quel «però».
Che cos’è quel «però»? A volte diciamo che è pudore ma non è vero. È timore. È il non voler socchiudere una porta che preferiamo lasciare chiusa, quando basterebbe poco per scoprire che dietro non c’è niente di speciale. Tutto il castello di impercettibili paure che abbiamo costruito intorno all’omosessualità si sgretola di fronte alla sua banalità. Perché è tutto come nelle coppie eterosessuali. A volte splendido, a volte no, a volte l’amore dura una notte, a volte un mese, a volte una vita intera.
L’unica via per sconfiggere il TIMORE che sentiamo dentro è CONOSCERE, AVVICINARSI. In ufficio, in fabbrica, in negozio, passiamo ore, sono la nostra seconda casa. Con i colleghi parliamo di noi, ascoltiamo i loro racconti. Ma se un collega è gay o una collega è lesbica allora no, siamo discreti, prudenti. Se poi è trans le difficoltà si amplificano, ma capita raramente di avere colleghe e colleghi trans perché hanno enormi difficoltà ad essere assunte/i in un panificio come in un ufficio (è ancora forte lo stigma trans-prostituta, perché è soltanto di trans che si prostituiscono che ci parla la televisione, gli altri, le altre, «non esistono»).
Quanti di noi se abbiamo un collega o una collega omosessuale chiediamo, facciamo domande sulla sua vita sentimentale come se fosse etero? In fabbrica come in ufficio, in un negozio come in uno studio di progettazione, proviamo ad essere curiosi, a ficcare il naso nelle vite degli altri. A chiedere loro come si sono conosciuti/e, come si sono dichiarati/e, accasati/e, perché si sono lasciati/e. ad organizzare cene a coppie miste, ad entrare in quella quotidianità identica alla nostra.
Entrare nelle vite degli altri per scoprire che sono le nostre stesse vite.  Per scoprire che dove si sono costruite delle famiglie i bambini crescono sereni come tutti gli altri.
Trent’anni fa sarei stata titubante di fronte a una famiglia con due mamme ad esempio, oggi ne conosce e vedo che tutto fila liscio.
Oggi continuiamo a pensare che il modello fondante di amore tra due persone sia quello eterosessuale perché quello che dà naturalmente la vita.
Lo spermatozoo feconda l’ovulo, questo non si discute.
Ma è come se i sentimenti, gli affetti e il desiderio dovessero dare la precedenza alla procreazione naturale, sempre e comunque. Oggi la scienza ha fatto passi avanti su questo, e la scienza ci piace quando ci salva la vita, ci cura le malattie.
Chi si ostina a ritenere innaturale la famiglia omogenitoriale invoca la Natura in quanto madre illustrissima e intoccabile a cui bisogna lasciar fare. Ma guarda caso sono proprio gli stessi che invece non ne vogliono sapere di lasciar fare alla Natura quando si accaniscono a tenere in vita per 18 anni una ragazza grazie a un respiratore che di naturale non ha niente.
La Natura diventa buona o cattiva, a piacimento. e noi abbocchiamo, perché le certezze ci piacciono e ci rassicurano. Abbiamo poco tempo per approfondire, siamo indaffarati e stanchi, spesso non abbiamo il tempo di interrogarci, di riflettere con calma, ci fermiamo agli slogan, e abbocchiamo.
Anche sbandierare al mondo di avere amici gay tradisce una forma di omofobia lieve; se sono davvero sereno non ho bisogno di specificare alcuna etichetta.
Oggi ci sono dei cattolici integralisti – che non rappresentano tutto il mondo cattolico ma che finiscono però sui media e quindi diventano «il mondo cattolico» – che mettono in guardia contro quella che chiamano la teoria del gender, teoria che non esiste ma che secondo loro verrebbe propagandata nelle scuole cercando di uniformare maschile e femminile in un qualcosa di ibrido con risvolti perversi.
Quello che invece si fa nelle scuole si chiama Educazione alle differenze o Educazione di genere.
Me ne occupo anche io. Non vuol dire educare al neutro, dire che tra maschi e femmine non ci sono differenze o istigare ad una sessualità spregiudicata.
Significa educare al rispetto delle differenze, che è altra cosa; significa aiutare bambini e bambine, ragazzi e ragazze, a capire che l’aggressività non è cosa da maschi e la pazienza cosa da femmine, significa insegnare loro che non ci sono soltanto il bianco e il nero, che c’è fluidità nelle nostre identità, significa aiutare chi si scopre una identità sessuale differente dal modello eterosessuale dominante a non sentirsi penalizzato, sbagliato, difettato, condannato all’infelicità, soprattutto in quel momento della crescita, l’adolescenza, che vede le sofferenze amplificarsi tanto da essere insopportabili, a volte così insopportabili da togliersi la vita.
Ma chi ha sponsor danarosi può pagarsi anche una pagina di propaganda fanatica su un quotidiano nazionale e allora in tanti leggiamo che la parola genere è pericolosa, e allora sentiamo che se qualcuno ne parla a scuola via a dire di NO senza nemmeno sapere di che cosa si sta parlando. C’è perfino il rischio che anche persone che ricoprono ruoli istituzionali importanti in tema di educazione si lascino condizionare dalle varie forme di violenza psicologica che allarmano i genitori e calcano la mano sul naturale senso di protezione verso l’infanzia.
Questi integralismi che istigano all’odio contro gli omosessuali e sbandierando slogan contro la parola “gender” non rappresentano che se stessi, una minoranza gretta (a volte si rivelano anche banalmente dei mediocri in cerca di fama) ma pericolosa.
Tutto quel mondo cattolico aperto ed accogliente, portatore dei principi cristiani, non finisce alla tivù, non scende in piazza in manifestazioni omofobe che ci riportano al medioevo ma oggi quello che io non vedo non esiste.
Eppure esiste.
Questi integralisti si sono organizzati proprio per frenare qualcosa che loro non riescono ad accettare, proprio come negli anni 50, nel Mississippi o nell’Alabama, il kkk frenava contro l’apertura mentale della popolazione bianca che non voleva più schiavi ma uomini e donne liberi con cui convivere pacificamente.
Ho visto il film Selma. Quello che ha sconfitto razzismo e schiavitù, in Alabama, oltre alla lotta dei neri che hanno perseverato nella loro ribellione pagando spesso con la vita il loro coraggio, è stata la partecipazione di tanti bianchi che sono scesi in strada con i neri, uomini e donne dalla pelle bianca hanno detto No alla violenza di altri uomini e donne bianche. Che hanno detto «non in mio nome», «io non sono così».
Non aspettiamo dunque di avere un amico o un familiare omosessuale per dissociarci dall’omofobia, da chi agisce e istiga all’odio non in nostro nome.
Anche l’indifferenza rende complici. Anche il silenzio.
Quando assistiamo a discorsi omofobi, ad azioni omofobe, dobbiamo dissociarci, prendere posizione. Al bar, al parco, sul nostro posto di lavoro.
Si sente dire che gli omosessuali si auto-discriminano. Anche io mi isolerei se non potessi tenere per mano mio marito quando passeggio, scambiarmi con lui una tenerezza, allungare semplicemente una mano per stringere la sua mentre siamo al ristorante.
Provate a immaginare di dover presentare una moglie o un marito come il migliore amico, la migliore amica, per mesi, per anni, per una vita intera. Non lo trovereste insopportabile?
Perché di questo si tratta.
Conosco coppie insieme da trent’anni anni che ancora non si sono dichiarate ai propri genitori, che li hanno già persi senza aver potuto dire «Ehi, papà, guarda che non è vero che non ho ancora trovato la persona giusta».
Tornando all’adolescenza, provate a immaginarvi cosa vuol dire a 14, 15 anni, subire atti di bullismo a scuola, su facebook, dover fare finta di avere una fidanzatina o un fidanzatino e vergognarsi davanti allo specchio perché sai che ai tuoi genitori faresti schifo se sapessero come sei.
Provate a pensare cosa significa doversi giustificare per come si è, dover essere contenti se quelli intorno a voi vi accettano, non vi fanno del male.
Le persone non si devono accettare o tollerare.
Io non mi faccio accettare, gli altri prendono atto che io esisto, punto.
Nessuno indaga sulla mia vita sentimentale o sulla mia sessualità, nessuno mi chiede di giustificare i miei desideri.
Nessuno mi soffoca, mi chiude in un recinto.
A volte quando parliamo di diritti e leggi, sacrosanti, rischiamo didimenticarci che stiamo parlando della vita quotidiana delle persone, della loro felicità e della loro infelicità. Di un rubinetto che perde un po’ di dolore ogni giorno, per tutta la vita.
Nei momenti socialmente difficili come quello che stiamo attraversando c’è il rischio che gli stereotipi si rafforzino, perché lo stereotipo è qualcosa di certo e dunque di rassicurante. Più il nostro futuro ci appare incerto e più ci aggrappiamo alle poche cose certe che ci riportano indietro, a quando avevamo meno paura del presente e del futuro. C’è dunque il rischio di una deriva violenta, di cui abbiamo già degli esempi drammatici. Proprio per questo è indispensabile che ognuno di noi guardi alla propria coscienza e si interroghi su quello che vuole fare, su quello che vuole essere. Vuole seguire il mondo, che va avanti e cambia ed è già in movimento, o vuole remare indietro, dimenticando che le discriminazioni ci hanno fatto conoscere il peggio di noi?
Nell’Alabama e nel Mississipi negli anni 50 avevano paura a stare vicino a un nero sull’autobus. Il razzismo non è sconfitto, ma hanno un presidente nero. Per eleggere un presidente nero significa non solo non averne paura, ma averne fiducia, perché andare a votare e mettere la croce su quel nome significa affidargli il proprio destino.
Le cose sono cambiate in America, ma i neri sono sempre gli stessi di 70 anni fa. Gli omosessuali di oggi sono quelli che 70 anni fa si nascondevano in matrimoni eterosessuali infelici, sono gli stessi che tra 70 anni cammineranno per strada per mano senza che nessuno si volti a guardarli.
Tra settanta anni il mondo guarderà a noi con la stessa rabbia e la stessa compassione con cui ricordiamo l’ignoranza di quelli che pur non facendo parte del kkk avevano paura a sedersi a scuola, in chiesa, al cinema, vicino a un nero. Li vediamo nei film e ci indigniamo, li troviamo violenti e patetici.
Perché aspettare di guardarci indietro con commiserazione e rimpianto?
Oggi possiamo decidere da che parte stare, possiamo e dobbiamo dire la nostra perché ogni discriminazione riguarda anche noi.
In Europa siamo tra gli ultimi paesi in fatto di rispetto dei diritti civili. È una vergogna se pensiamo a quando è stata scritta la nostra Costituzione, che parla di diritti e rispetto, di libertà, di dignità di tutte le persone, che è stata scritta per difenderci, per non farci mai più imbruttire, per non farci tornare mai più a quei tempi oscuri.
Non sprechiamo energie per capire perché siamo tornati indietro nuovamente, investiamo le nostre energie per dirci che indietro non vogliamo più tornare. Per dirci che presi uno ad uno siamo più avanti di quel che pensiamo, ma se non lo diciamo, se stiamo zitti, non ci rendiamo nemmeno conto di essere più evoluti di coloro che ci vogliono tenere a bada, e che forse oggi alzano la voce proprio perché sentono che gli stiamo sfuggendo di mano, che siamo davvero pronti a sentirci cittadini europei e rendere questo paese più aperto e più giusto.
Di omofobia lieve soffriamo tutti, l’abbiamo bevuta nel biberon, ma possiamo curarci. Cominciando a riconoscercela addosso per poi dichiararla ed elaborarla con serenità.Di omofobia lieve si può guarire, ma non da soli. Bisogna aiutarsi l’un l’altro, e contemporaneamente, come per tante patologie, fare prevenzione. E bisogna investire con fiducia nei ragazzi e nelle ragazze – anche loro mal rappresentati dai media – nella loro forza e nella loro capacità di essere più onesti e liberi, più capaci di convivere anziché dividere di quanto lo siamo stati noi.
Il fallimento sociale ci dice che è finito il tempo dell’individualismo, dell’avidità, della spregiudicatezza che ci ha inaridito e impoverito, economicamente e umanamente. Che dobbiamo e possiamo riprenderci quella capacità di creare cultura e civiltà, capacità che a volte sembra soffocare nella grettezza ma che abbiamo ancora, che è il nostro patrimonio, è un patrimonio che non abbiamo difeso ma che portiamo con noi.
Quello che ci salverà è rimettere al centro le relazioni umane, è ritrovare un’alleanza tra esseri umani. E questo può accadere soltanto se ricominciamo da noi, restituendo ai nostri figli ma anche a noi stessi quelle parole come rispetto, libertà, civiltà, che ci fanno vivere meglio tutti, e che ci meritiamo.