lunedì 29 giugno 2015


CHI DECIDE COS'E' LA NORMALITA'?



Se ne fa un gran parlare. Ci se ne riempie la bocca e si sparano sentenze. Ci si divide in fautori e detrattori. Io sono per la libertà. Libertà di essere e di amare. Senza pregiudizi. Senza barriere. Senza avere la pretesa di decidere chi e cosa è normale e cosa non lo è.
Chi decide "la normalità"? La massa?
Sono per il "la mia libertà finisce dove comincia la tua"...per cui sono contro le estremizzazioni ma senza fare differenza tra etero e omo...non mi piacciono le etichette.
Non esistono gay e etero: Viva la libertà di amare chi si vuole!
Conosco la sofferenza di chi non ha avuto il coraggio di "fare outing", la paura di non essere accettato...anche dalla propria famiglia, che poi è il dolore più grande.
Ma tutto questo rientra in un quadro di mentalità ancora chiusa, dalla paura e la vergogna di essere giudicati dagli altri.
Ho amici che per natura hanno fatto una scelta diversa dalla mia, ma sono quelli che mi amano senza secondi fini. Persone dal cuore e dall'anima grandi, di cui non mi sono mai vergognata ma che ho sempre esaltato. Persone pulite...mentre tanti etero non lo sono.
L'AMORE NON HA UNA SOLA DIMENSIONE...questo è il mio motto.
Tutto questo "bla bla bla" fa più male che bene...per affermare i propri diritti si supera purtroppo spesso la soglia della decenza, quando basterebbe guardare oltre i corpi e guardare solo i cuori.
Non tutti sono ancora pronti. I tempi non sono maturi.
Ma la mia speranza è che presto si arrivi a un mondo dove l'ignoranza ceda il posto alla sensibilità e all'accoglienza.
Ricordiamoci che dietro a quel ragazzo o ragazza su cui puntiamo il dito, un giorno ci potrebbe essere nostro figlio/a.

giovedì 25 giugno 2015




Anche io ho sofferto di omofobia lieve. Sono nata agli inizi degli anni Sessanta, in un paesino ai piedi della montagna, in Valsugana, lungo le rive del Brenta.
Quando ero bambina la mia percezione dell’omosessualità si riferiva ad un episodio di cui avevo sentito parlare a proposito di un pedofilo che bazzicava nella stazione di Padova. L’associazione tra omosessualità e pedofilia e quindi perversione era dunque netta.
Quando ero in prima o seconda media e chiesi chi era Pasolini mi fu detto che era uno sporcaccione. Quando avevo 13 anni ricordo che, pensando all’omosessualità, immaginavo mio fratello mentre baciava un suo amico di cui ero innamorata, e la cosa mi turbava molto.
Mi turbava perché quell’idea di perversione che avevo respirato condizionava il mio immaginario, mi era rimasta nella pancia e anche se cominciavo a sentire e vedere che esistevano omosessuali nel mondo e non sembravano degli sporcaccioni, quell’imprinting era come un filtro tra me e loro
Come ho fatto a liberarmi da questo immaginario?
Ho avuto la fortuna di essere una persona curiosa. Ho cominciato presto a girare l’Italia per lavoro, ho conosciuto moltissima gente, ho avuto la fortuna soprattutto di incontrare omosessuali dichiarati (inizialmente solo maschi, le lesbiche «non esistevano») dentro le loro case, di entrare nella loro intimità. Ma se io non avessi avuto l’occasione dell’esperienza della conoscenza, quel filtro non si sarebbe dissolto e forse sarei ancora lì a provare turbamento immaginando due uomini in un letto (e le donne non le immaginerei).
Spesso persone che stimo per la loro cultura e che sono realmente convinte della necessità di lottare per i diritti civili di gay, lesbiche e trans, ammettono che PERO’ se ne vedono due per strada che si tengono per mano si irrigidiscono, provano turbamento. Perché non si tratta di essere colti o meno, qui si tratta di cosa ci si porta addosso, nell’ombelico.
Fobia significa paura oggettivamente ingiustificata. Qualcosa che mi turba senza un reale motivo. L’omofobia non è solo quella violenta degli insulti, delle sprangate in un vicolo. Che sia ingiustificabile l’omofobia violenta siamo sempre (quasi) tutti d’accordo. C’è una forma di omofobia che tutti e tutte ci portiamo addosso, chi più che meno, e che ha a che fare con la cultura che ci ha nutriti di stereotipi e paure, in un paese omofobo e sessuofobico. Io la chiamo omofobia lieve. L’omofobia lieve è quel disagio che sentiamo addosso anche se a parole diciamo di rispettare tutti, quando percepiamo nel nostro intimo quel «però».
Che cos’è quel «però»? A volte diciamo che è pudore ma non è vero. È timore. È il non voler socchiudere una porta che preferiamo lasciare chiusa, quando basterebbe poco per scoprire che dietro non c’è niente di speciale. Tutto il castello di impercettibili paure che abbiamo costruito intorno all’omosessualità si sgretola di fronte alla sua banalità. Perché è tutto come nelle coppie eterosessuali. A volte splendido, a volte no, a volte l’amore dura una notte, a volte un mese, a volte una vita intera.
L’unica via per sconfiggere il TIMORE che sentiamo dentro è CONOSCERE, AVVICINARSI. In ufficio, in fabbrica, in negozio, passiamo ore, sono la nostra seconda casa. Con i colleghi parliamo di noi, ascoltiamo i loro racconti. Ma se un collega è gay o una collega è lesbica allora no, siamo discreti, prudenti. Se poi è trans le difficoltà si amplificano, ma capita raramente di avere colleghe e colleghi trans perché hanno enormi difficoltà ad essere assunte/i in un panificio come in un ufficio (è ancora forte lo stigma trans-prostituta, perché è soltanto di trans che si prostituiscono che ci parla la televisione, gli altri, le altre, «non esistono»).
Quanti di noi se abbiamo un collega o una collega omosessuale chiediamo, facciamo domande sulla sua vita sentimentale come se fosse etero? In fabbrica come in ufficio, in un negozio come in uno studio di progettazione, proviamo ad essere curiosi, a ficcare il naso nelle vite degli altri. A chiedere loro come si sono conosciuti/e, come si sono dichiarati/e, accasati/e, perché si sono lasciati/e. ad organizzare cene a coppie miste, ad entrare in quella quotidianità identica alla nostra.
Entrare nelle vite degli altri per scoprire che sono le nostre stesse vite.  Per scoprire che dove si sono costruite delle famiglie i bambini crescono sereni come tutti gli altri.
Trent’anni fa sarei stata titubante di fronte a una famiglia con due mamme ad esempio, oggi ne conosce e vedo che tutto fila liscio.
Oggi continuiamo a pensare che il modello fondante di amore tra due persone sia quello eterosessuale perché quello che dà naturalmente la vita.
Lo spermatozoo feconda l’ovulo, questo non si discute.
Ma è come se i sentimenti, gli affetti e il desiderio dovessero dare la precedenza alla procreazione naturale, sempre e comunque. Oggi la scienza ha fatto passi avanti su questo, e la scienza ci piace quando ci salva la vita, ci cura le malattie.
Chi si ostina a ritenere innaturale la famiglia omogenitoriale invoca la Natura in quanto madre illustrissima e intoccabile a cui bisogna lasciar fare. Ma guarda caso sono proprio gli stessi che invece non ne vogliono sapere di lasciar fare alla Natura quando si accaniscono a tenere in vita per 18 anni una ragazza grazie a un respiratore che di naturale non ha niente.
La Natura diventa buona o cattiva, a piacimento. e noi abbocchiamo, perché le certezze ci piacciono e ci rassicurano. Abbiamo poco tempo per approfondire, siamo indaffarati e stanchi, spesso non abbiamo il tempo di interrogarci, di riflettere con calma, ci fermiamo agli slogan, e abbocchiamo.
Anche sbandierare al mondo di avere amici gay tradisce una forma di omofobia lieve; se sono davvero sereno non ho bisogno di specificare alcuna etichetta.
Oggi ci sono dei cattolici integralisti – che non rappresentano tutto il mondo cattolico ma che finiscono però sui media e quindi diventano «il mondo cattolico» – che mettono in guardia contro quella che chiamano la teoria del gender, teoria che non esiste ma che secondo loro verrebbe propagandata nelle scuole cercando di uniformare maschile e femminile in un qualcosa di ibrido con risvolti perversi.
Quello che invece si fa nelle scuole si chiama Educazione alle differenze o Educazione di genere.
Me ne occupo anche io. Non vuol dire educare al neutro, dire che tra maschi e femmine non ci sono differenze o istigare ad una sessualità spregiudicata.
Significa educare al rispetto delle differenze, che è altra cosa; significa aiutare bambini e bambine, ragazzi e ragazze, a capire che l’aggressività non è cosa da maschi e la pazienza cosa da femmine, significa insegnare loro che non ci sono soltanto il bianco e il nero, che c’è fluidità nelle nostre identità, significa aiutare chi si scopre una identità sessuale differente dal modello eterosessuale dominante a non sentirsi penalizzato, sbagliato, difettato, condannato all’infelicità, soprattutto in quel momento della crescita, l’adolescenza, che vede le sofferenze amplificarsi tanto da essere insopportabili, a volte così insopportabili da togliersi la vita.
Ma chi ha sponsor danarosi può pagarsi anche una pagina di propaganda fanatica su un quotidiano nazionale e allora in tanti leggiamo che la parola genere è pericolosa, e allora sentiamo che se qualcuno ne parla a scuola via a dire di NO senza nemmeno sapere di che cosa si sta parlando. C’è perfino il rischio che anche persone che ricoprono ruoli istituzionali importanti in tema di educazione si lascino condizionare dalle varie forme di violenza psicologica che allarmano i genitori e calcano la mano sul naturale senso di protezione verso l’infanzia.
Questi integralismi che istigano all’odio contro gli omosessuali e sbandierando slogan contro la parola “gender” non rappresentano che se stessi, una minoranza gretta (a volte si rivelano anche banalmente dei mediocri in cerca di fama) ma pericolosa.
Tutto quel mondo cattolico aperto ed accogliente, portatore dei principi cristiani, non finisce alla tivù, non scende in piazza in manifestazioni omofobe che ci riportano al medioevo ma oggi quello che io non vedo non esiste.
Eppure esiste.
Questi integralisti si sono organizzati proprio per frenare qualcosa che loro non riescono ad accettare, proprio come negli anni 50, nel Mississippi o nell’Alabama, il kkk frenava contro l’apertura mentale della popolazione bianca che non voleva più schiavi ma uomini e donne liberi con cui convivere pacificamente.
Ho visto il film Selma. Quello che ha sconfitto razzismo e schiavitù, in Alabama, oltre alla lotta dei neri che hanno perseverato nella loro ribellione pagando spesso con la vita il loro coraggio, è stata la partecipazione di tanti bianchi che sono scesi in strada con i neri, uomini e donne dalla pelle bianca hanno detto No alla violenza di altri uomini e donne bianche. Che hanno detto «non in mio nome», «io non sono così».
Non aspettiamo dunque di avere un amico o un familiare omosessuale per dissociarci dall’omofobia, da chi agisce e istiga all’odio non in nostro nome.
Anche l’indifferenza rende complici. Anche il silenzio.
Quando assistiamo a discorsi omofobi, ad azioni omofobe, dobbiamo dissociarci, prendere posizione. Al bar, al parco, sul nostro posto di lavoro.
Si sente dire che gli omosessuali si auto-discriminano. Anche io mi isolerei se non potessi tenere per mano mio marito quando passeggio, scambiarmi con lui una tenerezza, allungare semplicemente una mano per stringere la sua mentre siamo al ristorante.
Provate a immaginare di dover presentare una moglie o un marito come il migliore amico, la migliore amica, per mesi, per anni, per una vita intera. Non lo trovereste insopportabile?
Perché di questo si tratta.
Conosco coppie insieme da trent’anni anni che ancora non si sono dichiarate ai propri genitori, che li hanno già persi senza aver potuto dire «Ehi, papà, guarda che non è vero che non ho ancora trovato la persona giusta».
Tornando all’adolescenza, provate a immaginarvi cosa vuol dire a 14, 15 anni, subire atti di bullismo a scuola, su facebook, dover fare finta di avere una fidanzatina o un fidanzatino e vergognarsi davanti allo specchio perché sai che ai tuoi genitori faresti schifo se sapessero come sei.
Provate a pensare cosa significa doversi giustificare per come si è, dover essere contenti se quelli intorno a voi vi accettano, non vi fanno del male.
Le persone non si devono accettare o tollerare.
Io non mi faccio accettare, gli altri prendono atto che io esisto, punto.
Nessuno indaga sulla mia vita sentimentale o sulla mia sessualità, nessuno mi chiede di giustificare i miei desideri.
Nessuno mi soffoca, mi chiude in un recinto.
A volte quando parliamo di diritti e leggi, sacrosanti, rischiamo didimenticarci che stiamo parlando della vita quotidiana delle persone, della loro felicità e della loro infelicità. Di un rubinetto che perde un po’ di dolore ogni giorno, per tutta la vita.
Nei momenti socialmente difficili come quello che stiamo attraversando c’è il rischio che gli stereotipi si rafforzino, perché lo stereotipo è qualcosa di certo e dunque di rassicurante. Più il nostro futuro ci appare incerto e più ci aggrappiamo alle poche cose certe che ci riportano indietro, a quando avevamo meno paura del presente e del futuro. C’è dunque il rischio di una deriva violenta, di cui abbiamo già degli esempi drammatici. Proprio per questo è indispensabile che ognuno di noi guardi alla propria coscienza e si interroghi su quello che vuole fare, su quello che vuole essere. Vuole seguire il mondo, che va avanti e cambia ed è già in movimento, o vuole remare indietro, dimenticando che le discriminazioni ci hanno fatto conoscere il peggio di noi?
Nell’Alabama e nel Mississipi negli anni 50 avevano paura a stare vicino a un nero sull’autobus. Il razzismo non è sconfitto, ma hanno un presidente nero. Per eleggere un presidente nero significa non solo non averne paura, ma averne fiducia, perché andare a votare e mettere la croce su quel nome significa affidargli il proprio destino.
Le cose sono cambiate in America, ma i neri sono sempre gli stessi di 70 anni fa. Gli omosessuali di oggi sono quelli che 70 anni fa si nascondevano in matrimoni eterosessuali infelici, sono gli stessi che tra 70 anni cammineranno per strada per mano senza che nessuno si volti a guardarli.
Tra settanta anni il mondo guarderà a noi con la stessa rabbia e la stessa compassione con cui ricordiamo l’ignoranza di quelli che pur non facendo parte del kkk avevano paura a sedersi a scuola, in chiesa, al cinema, vicino a un nero. Li vediamo nei film e ci indigniamo, li troviamo violenti e patetici.
Perché aspettare di guardarci indietro con commiserazione e rimpianto?
Oggi possiamo decidere da che parte stare, possiamo e dobbiamo dire la nostra perché ogni discriminazione riguarda anche noi.
In Europa siamo tra gli ultimi paesi in fatto di rispetto dei diritti civili. È una vergogna se pensiamo a quando è stata scritta la nostra Costituzione, che parla di diritti e rispetto, di libertà, di dignità di tutte le persone, che è stata scritta per difenderci, per non farci mai più imbruttire, per non farci tornare mai più a quei tempi oscuri.
Non sprechiamo energie per capire perché siamo tornati indietro nuovamente, investiamo le nostre energie per dirci che indietro non vogliamo più tornare. Per dirci che presi uno ad uno siamo più avanti di quel che pensiamo, ma se non lo diciamo, se stiamo zitti, non ci rendiamo nemmeno conto di essere più evoluti di coloro che ci vogliono tenere a bada, e che forse oggi alzano la voce proprio perché sentono che gli stiamo sfuggendo di mano, che siamo davvero pronti a sentirci cittadini europei e rendere questo paese più aperto e più giusto.
Di omofobia lieve soffriamo tutti, l’abbiamo bevuta nel biberon, ma possiamo curarci. Cominciando a riconoscercela addosso per poi dichiararla ed elaborarla con serenità.Di omofobia lieve si può guarire, ma non da soli. Bisogna aiutarsi l’un l’altro, e contemporaneamente, come per tante patologie, fare prevenzione. E bisogna investire con fiducia nei ragazzi e nelle ragazze – anche loro mal rappresentati dai media – nella loro forza e nella loro capacità di essere più onesti e liberi, più capaci di convivere anziché dividere di quanto lo siamo stati noi.
Il fallimento sociale ci dice che è finito il tempo dell’individualismo, dell’avidità, della spregiudicatezza che ci ha inaridito e impoverito, economicamente e umanamente. Che dobbiamo e possiamo riprenderci quella capacità di creare cultura e civiltà, capacità che a volte sembra soffocare nella grettezza ma che abbiamo ancora, che è il nostro patrimonio, è un patrimonio che non abbiamo difeso ma che portiamo con noi.
Quello che ci salverà è rimettere al centro le relazioni umane, è ritrovare un’alleanza tra esseri umani. E questo può accadere soltanto se ricominciamo da noi, restituendo ai nostri figli ma anche a noi stessi quelle parole come rispetto, libertà, civiltà, che ci fanno vivere meglio tutti, e che ci meritiamo.

mercoledì 24 giugno 2015

BAZZICANDO NEL WEB (2)


Anche questo è un post "rubato" ad un'amica...sono parole che profumano d'amore e che scaldano i cuori...







"Ci sono lacrime che solo lei può asciugare, con quell'angolo di fazzoletto speciale... Lo stesso con cui mi puliva i baffi di gelato da bambina, ai lati di una bocca di fragola rossa rossa e di bacini molto molto appiccicosi.
Ci sono sorrisi che solo lei sa far nascere, poggiandomi la mano sulle guance... La stessa mano con cui lei si accarezzava la pancia mentre mi aspettava arrivare, immaginando il colore dei miei occhi, seduta davanti al focolare .
Ci sono dolori che solo lei può guarire o anche solo calmare,o prendersene cura.... Perché lei, se tu soffri, non potrà mai starsene ferma a guardare... Aspetta insieme a te che passi la tempesta, insegnandoti persino a sperare.
Ci sono domande a cui solo lei può rispondere, bellezze di te che solo lei può scorgere, errori che solo lei può perdonare, difetti che solo lei non saprà mai vederti addosso o dentro.
Ci sono momenti in cui anche solo sussurrare il suo nome, può far da coperta ad un cuore infreddolito, da vela ad una barchetta che affonda piano piano ed in silenzio...
Far da cerotto su quelle bue che non sempre sanguinano e bruciano a vista sulla pelle... Far da bacio di stelle sui capelli, prima di dormire... Da note dolci di carillon, utili per abbracciare nel modo giusto i silenzi.
Lei sa di zucchero filato, di borotalco, di pane e marmellata, di acqua di rose...
di fiaba, di culla, di torta buona, di accappatoio poggiato "presto-presto " sui brividi di freddo...
Lei sa di casa, di tetto, di tana, di rifugio...
Ci sono forme d' amore infinite,
quella eterna è di sicuro l' Amore per un figlio...
Ci sono sentimenti che solo lei può capire, come questa cosa grossa che io proprio non so spiegare.... e che ad esprimere a fiori e caramelle non sono più capace.
Ti Amo....
Questo volevo ti dire Emoticon heart ...Mamma..."

BAZZICANDO NEL WEB (1)


Rubo questo post pubblicato da un'amica...lo trovo troppo vero ed esilarante e lo voglio condividere con voi!!!


"Nella mia home mi capitano (sempre con maggior frequenza, dev'essere l'estate imminente) foto di donnine diciamo nonpropriogiovanissime, non propriofighissime, nonpropriomagrissime che, tra un commento acido e un post hipsterico mostrano quanto natura abbia generosamente elargito loro. Chi più ne ha più ne metta, insomma.
Senza dubbio la gradevolezza dello scatto sarà proporzionale ai chili del soggetto! Ennò. Ve lo dico io. Anche se una quindicina di vitelloni calvi e arrapati vi commentano le grazie (e ho scritto "grazie" perché "appendici" suonava un po' troppo medicale) sappiate che la tetta grossa funziona in due casi:
- se quello che c'è intorno non crea l'associazione immediata con un insaccato.
- se la loro pendenza non supera la gabbia toracica.
Non ho finito: quando commentate taglienti le taglie 40-42 e qualche volta pure la 44 (che, non ve lo volevo di', ma sono taglie umane) dicendo che le donne italiane sono senza culo, sciapette, piatte, che non ispirano sesso ma solo dieta, l'effetto è grossomodo quello che potrei ottenere io presentandomi al Motor Show con la mia Athos del 2004 proclamando che le Lamborghini sono cafone, sgraziate e difficili da parcheggiare.
Ho deciso che pelerò qualche quintale di patate per iniziare la dieta dello gnocco, così da prendere rapidamente 24 chili per avere un corpo da urlo. Di Munch."
FRAMMENTI DI VITA




Oggi voglio riportare un frammento di vita di una persona a me molto cara, sprofondata più volte nel buio, ma sempre riemersa nonostante le difficoltà e le paure. Spero possa servire ad allargare i vostri orizzonti e a guardare oltre in ogni persona che vi passa accanto.


"...Lo sguardo impietrito … il sangue che pulsa nelle vene del collo … un senso di soffocamento … incapacità di muoversi. Una bambola di pezza afflosciata su se stessa. Gli occhi persi fissano quel lungo corridoio dalle pareti squallide con scritte appartenenti a miriadi di piccoli mondi immaginari.
Figure dallo sguardo proiettato in un altro mondo, passeggiano avanti e indietro come leoni in gabbia. Ho paura … le mie gambe non si muovono … riesco solo a scuotere la testa in senso di diniego, mentre un sudore freddo si impossessa sempre più di me.
Incrocio sguardi persi che rimarranno impressi nella mia anima come cicatrici profonde … quel giorno  la vita, ancora una volta, mi metteva a dura prova.
La voce dell’infermiera mi scuote dal torpore che ormai si è impossessato di me e una signora in camicia da notte, vestaglia e pantofole, mi si avvicina e sorridendo mi dice:- Vieni, ti troverai bene con noi … siamo una famiglia.
“Famiglia” per me significa protezione, calore, abbracci, comprensione, mani tese … è una parola magica, appartenente a un ideale così alto che ho rincorso negli anni … e che spesso non ho trovato … forse perché ognuno di noi, alla ricerca di se stesso, ha cercato di crearsi un limbo dove affermarsi e auto proteggersi.
La mia corazza piano piano si scioglie grazie alle parole di una sconosciuta che, nonostante il suo evidente disagio psicologico, ha capito il mio e letto il terrore nei miei occhi.
Così ho conosciuto Anna, dieci anni passati dentro e fuori i reparti psichiatrici, una problematica e un disagio che non mi ha spiegato, forse perché non se ne rende conto nemmeno lei. Ma mi racconta di sua figlia, ormai ventenne, che da quando aveva dieci anni si prende cura di lei … i ruoli si sono invertiti … la mamma era diventata figlia da accudire.
E penso alle mie, alla loro sofferenza in questo momento, la sofferenza di vedere una madre che sarebbe dovuta essere la loro guida, ma che troppo fragile e dall’animo spezzato, continuava a far loro del male pensando di fare del bene. E penso che non ho colto i loro segnali, le ho credute chiuse nel loro egoismo di adolescenti … quando forse l’egoista ero io persa nella ricerca di qualcosa che mi avrebbe potuto rendere felice … ma che continuava a scivolarmi dalle mani, come sabbia.
Gli infermieri controllano la mia valigia … via accendini … lacci … caricabatterie … bombolette spray … mi elencano le regole del reparto … doccia solo la mattina entro le dieci … il cellulare si può ricaricare solo dalle 15 alle 17 consegnandolo al personale … per asciugarsi i capelli è necessaria la presenza di un familiare … per uscire dal reparto bisogna chiedere il permesso … la porta è chiusa a chiave … le visite esterne sono di un’ora e mezza al giorno divise in due volte.
Ho ricevuto solo tre visite in quei giorni … mio marito … con la triste convinzione che si trattava più di dovere che di desiderio di stare al fianco di una donna che ormai non amava più.
Ancora una volta mi sento un leone in gabbia.
La mia compagna di stanza è Lucilla, una vivace donnina di 73 anni dai capelli di un rosa strano. Mi accoglie subito con affetto e mi racconta la sua storia. E’ una storia paradossale che mi ripete all’infinito. Mi parla di una nuora che accende fuochi e manovra il male, riuscendo a mettere contro di lei i figli e il marito che, ubriachi dalla mattina alla sera, le rubano i soldi e la picchiano fino a romperle una spalla. Ho dei dubbi sulla veridicità di quello che mi racconta. Ho l’impressione che si sia creata un mondo tutto suo per sfuggire chissà da che cosa.
Le piace il mio cellulare, mi fa compilare elenchi di cose di cui necessita. Chiama più volte a casa. Nessuno è venuta mai a trovarla.
“La mente è come un paracadute. Funziona solo se si apre …” evidentemente le persone come noi hanno paura di aprirlo … e preferiscono precipitare nell’oblio.
Avverto in lei un’energia positiva … nomina spesso Dio … e prega … anche per me.
Mi sento amata … da una sconosciuta… ancora una volta.
Al mio ingresso in pronto soccorso ero sola. Chi avrebbe dovuto essere al mio fianco aveva di meglio da fare. Sola. Senza soldi. Senza pigiama. Senza ciabatte. Senza intimo. Senza anima. Non ricordo il suo nome, la mia vicina di letto si prende cura di me.
Mi guardo intorno. In fondo l’ambiente non è poi così male. Non ci sono sbarre alle finestre come avevo visto altrove, ma c’è un luminosissimo terrazzo protetto da altissime vetrate che permettono al sole di entrare e mi danno comunque l’impressione di uno spazio infinito.
Finalmente comincio a sentirmi un po’ meno in gabbia.
E’ ora di pranzo. Nel reparto si mangia tutti insieme … proprio come in una famiglia.
I miei occhi incrociano uno sguardo perso che vagava chissà in quale mondo … uno sguardo distrutto dalle lacrime e dalla sofferenza … uno sguardo inespressivo … una maschera immobile di dolore.
Sento un’energia che mi attrae verso di lei … provo un approccio. Riesco a sapere solo che si chiama Sara, ha 39 anni e non può avere figli. Poi mi dice che non si sente di parlare … e io … rispetto il suo dolore.
Morgana ha 29 anni, ma non ne dimostra più di 20. Il suo sguardo è spento. Non parla. E’ sempre buttata sul letto. Si alza solo per fumare e per mangiare. Un altro mondo chiuso e imperscrutabile … qui ognuno ha il suo … e non riesco a tenderle la mano perché non la voglio turbare.
Forse dovrei pensare a me, a fare chiarezza nel mio di mondo, ma sento invece una forza che mi spinge verso queste anime perse… perse più della mia …
Dimitri, in un italiano stentato, mi chiede una sigaretta e di fare una telefonata… in questo posto sono due cose fondamentali …non si riesce a starne senza. E’ gentile, gli offro col cuore quello che mi chiede. La sera lui contraccambia dandomi di nascosto metà dell’ultima gomma da masticare che aveva.
Ancora una volta uno sconosciuto ha avuto un’attenzione per me.
Giuseppe mangia in continuazione e passeggia per il lungo corridoio tutto il giorno. Canta, e io mi trovo a fare una cosa che pensavo non avrei avuto mai il coraggio di fare in quel posto, con persone che non conoscevo … canto … canto insieme a lui … e ridiamo …
Li … nessuno ride mai …
Ci sediamo uno di fronte all’altro e, senza che gli chiedessi niente, mi racconta di lui.
Non è lucido, ma il racconto fila perfettamente. Deve essere stata una persona colta, usa termini appropriati e di un certo livello. Viveva con la mamma, malata di Alzheimer che lui ha accudito con dedizione e amore, ma racconta di una sorella che gli ha impedito di farsi una vita propria, distruggendo il rapporto d’amore che si era costruito con una donna che amava e da cui era amato.
Non so poi cosa sia successo, ma so che ha passato quattro giorni legato al letto dell’ospedale e ha avuto un ricovero coatto.
Ora è tranquillissimo, ma non può uscire da solo dal reparto. Chiama a casa supplicando qualcuno di andarlo a trovare.
Non è venuto mai nessuno.
Ma Giuseppe ha trovato il suo angelo, un infermiere tirocinante che si prende cura di lui, gli porta le sigarette e l’accompagna al bar per comprargli la cioccolata che lui adora.
Nella sfortuna spesso si ha la fortuna di incontrare sulla propria strada chi si prende cura di te, anche se non hai niente da dargli in cambio.
Lo straniero arriva con l’infermiere in sala all’ora di cena.
Quando ci vede tutti li, si rifiuta di mangiare insieme a noi, vuole farlo da solo in camera, ma non è possibile.
Cerchiamo di fargli capire che andiamo noi nelle nostre camere per lasciarlo mangiare in sala … lui se ne va … non vuole nessun contatto con gli altri.
Nel mondo “di fuori” spesso ognuno pensa a se stesso, preso dalla propria vita, dai propri affanni e dai propri problemi … mi stupisco … li dove dovrebbe essere così, esiste invece una solidarietà incredibile.
Riuniamo il cibo che abbiamo, merendine, fette biscottate, biscotti, marmellate, acqua e gliele portiamo in camera sul comodino, così può mangiare quando ha fame.
Fa finta di dormire, ma non vuole il nostro aiuto. Quando usciamo dalla stanza, si alza e urlando, butta tutto nel cestino.
L’infermiere ci dice di lasciar perdere … perché basta poco per turbare gli equilibri e poi le situazioni diventano ingestibili.
Rinunciamo all’impresa … forse quando e se avrà voglia di entrare in contatto con noi, lo farà lui.
La dottoressa mi ha detto che questo non è il posto per me e quindi domani tornerò a casa.

Ho paura. Qui mi sento protetta..."

lunedì 22 giugno 2015

ASCELLE SELVAGGE


Una volta a settimana mi armo di pazienza e viaggio in metro … un viaggio underground della speranza.
Stamattina era affollatissima per cui, ancora insonnolita e con il celebre rodimento che mi contraddistingue, rimango in piedi. Alzo il braccio per tenermi e, improvvisamente mi assale un atroce dubbio amletico: “Avrò la ricrescita dei peli sotto l’ascella???”
Controllare avrebbe dato troppo all’occhio per cui, un po’ imbarazzata, faccio l’indifferente.
Lo sguardo mi cade sui ciuffi di peli ribelli che escono sotto le braccia della signorina bionda, perfettamente truccata e in minigonna inguinale.
Ma io dico … con tutto il tempo che hai impiegato per trasformarti da essere umano a bambolina di porcellana, due minuti per una passata di lametta non ce li avevi? Capisco che con i due metri di gambe che hai, probabilmente gli uomini non guarderanno le tue ascelle, ma la foresta Amazzonica non ti fa calore???
E la mia mente spazia alle foto su facebook, ai mille selfie che spopolano e, anche li, c’è da dire che l’ascella pelosa ha un suo perché e non intimidisce signorine e tardone che si preoccupano di più di fare l’occhio sensuale da pesce lesso.
Mi assale una enorme botta di autostima: un’eventuale leggera ricrescita passerà sicuramente inosservata.
E mi sento finalmente in pace con me stessa. 
Annarita

sabato 20 giugno 2015

DONNE



L'universo femminile, rispetto a quello maschile, generalmente è caratterizzato da un'emotività più sviluppata e quindi da una  capacità più intensa di esprimente emozioni, sentimenti, empatia, sensibilità, pietà, compassione.
La sua immagine in un contesto sociale è più presa di mira: uno scandalo provocato da una donna lascia segni più profondi di quelli provocati da un uomo.
Una donna che tradisce il marito o che lascia i figli o  picchia  qualcuno o fa a botte con qualcuno, ha un impatto sociale più forte.
Basta generalizzare col concetto della donna "angelo del focolare", dell'essere perfetto, sottoposta ad angherie da parte dell'uomo.
La donna è più stronza dell'uomo perchè quando agisce in determinate occasioni, lo fa con cattiveria smisurata e con cognizione di causa, l'uomo è invece più istintivo.
Naturalmente non voglio generalizzare, ma mi rendo sempre più conto di questa differenza... purtroppo.
La donna sa essere un'abile manipolatrice e spesso riesce con le sue armi a rovinare famiglie intere.
E' astuta, maliziosa e ha la capacità di ferire colpendo in pieno il bersaglio.
Non è solidale con le altre donne, ma spesso in competizione e usa la lingua per massacrare, difficilmente ricorre alle mani come fanno gli uomini, ma colpisce e affonda ancora di più.
Se lasciata è capace di scatenare l'inferno e questa notte ne ho avuto purtroppo la prova.

A te che sei ancora una ragazzina, voglio dire che non si sputa nel piatto in cui hai mangiato. Che ciò che hai fatto è stata una cosa ignobile e inutile...e che non sei brava neanche a mentire. Quando si parla con le persone le si guarda dritte negli occhi se non hai niente da nascondere e stai dicendo la verità. Ma la tua versione è cambiata più volte e voglio ricordarti che davanti a te avevi persone che la vita l'hanno vissuta e subita...quindi non si fanno coglionare . Penso che chi ti ha lasciato ha vinto un terno al lotto perchè hai dimostrato di essere perfida e infida. Hai ancora tante cose da imparare, ma hai già imparato gli aspetti più negativi che una donna possa avere: cattiveria, violenza, vendetta, sfruttamento di chi ci tiene a te.
Ti auguro di riuscire a passare dall'altra parte della barricata: quelle delle donne che lottano ogni giorno per mantenere saldi i rapporti che vive...di quelle che accettano i cambiamenti con dignità... di quelle che credono nell'amore disinteressato...nell'amicizia...nel sacrificio che i rapporti comportano.

Per fortuna non tutte le donne sono così. 
Se le donne dovessero essere tutte cattive il mondo cesserebbe all'istante.

venerdì 19 giugno 2015


 Io e il mio amico Facciadilibro


Oggi parliamo del social network che ha sconvolto ormai da anni la vita di tanta gente.
Io per prima sono un'accanita sostenitrice e frequentatrice di facebook, è un pò come se fosse la mia seconda casa, come sta cominciando ad esserlo questo blog alle prime armi.
Mi sono iscritta tanti anni fa per curiosità ed ora, devo ammetterlo, non riesco a stare un giorno senza andare a guardare, pubblicare o commentare qualcosa.
All'inizio accoglievo tutti tra le mie amicizie per poi fare una selezione nel momento in cui mi rendevo conto che alcuni avevano  scopi ben precisi (lo so sono irresistibile :D ), diversi dal mio che era quello di fare amicizie nuove, cazzeggiare con gli amici, ritrovare persone che avevano fatto parte della mia vita o semplicemente scrivere il mio stato d'animo e raccontare di me.
Poi piano piano ho adottato una politica diversa ed ora praticamente ho solo persone che conosco nella realtà o conosciute dai miei amici.
Facebook è un'arma a doppio taglio, spesso demonizzato ma se ne viene fatto un giusto uso, ritengo sia una cosa positiva. 
Con le mie amiche diciamo spesso che se ci pagassero per ogni minkiata che scriviamo, saremmo ricchissime!!!
Tra l'altro, devo ringraziare facebook per la persona che ora ho accanto, ma che è stata prima vagliata, monitorata attentamente e chiesto garanzie scritte da chi la conosceva :D ... quindi questo social network non fa soltanto danni!!!!
Ho sempre cercato di apparire nel virtuale, così come nel reale, per quella che sono, senza maschere e senza far finta di essere ciò che non sono. Per cui, chi legge la mia pagina, può avere un'idea precisa ci chi io sia.
Questo mi ha portato in passato, e a volte anche ora, ad essere giudicata da chi non sa guardare oltre una foto o un post, ma io sono da sempre sostenitrice del fatto che chi pubblica apertamente non ha niente da nascondere. 

Ho incontrato persone di tutti i tipi...quelle che ti chiedono l'amicizia e poi non commentano mai...quelli che vogliono solo impicciarsi dei fatti tuoi...quelli impegnati nella pratica del rimorchio virtuale...quelli discreti e quelli meno discreti...quelli che vogliono interagire con te in modo simpatico e educato...e poi naturalmente i miei amici non virtuali ma reali con cui trascorro momenti piacevolissimi seri o semiseri o di puro cazzeggio, di quelli che ti fanno sorridere e ridere come una scema davanti alla tastiera.

Ed ecco gli abitanti di " casa facebook":

  1. i "gino Corona" cioè chi ti tiene ugualmente tra le sue amicizie per potersi impicciare e parlare alle spalle, pensando forse che tu sia una star di cui scovare gossip (per il significato del termine"gino/a leggete la nota di presentazione);
  2. i "sono furbo tanto non te ne accorgi" che ti tengono tra le amicizie ma ti bloccano i propri post in modo che lo "sbiculiamento" (come lo chiamiamo io e le mie amiche) sia a senso unico e pensano di salvarsi la faccia;
  3. i "bloccatori seriali" che pensano di avere il potere in mano; 
  4. i "bloccatori partime" cioè quelli che ti bloccano ma ti monitorizzano da un altro account proprio o tramite amicizie in comune;
  5. i "distruttori psicologici" cioè quelli che ti tolgono i sensi;
  6. i "lancio la pietra e nascondo la mano" che parlano di te sulla loro bacheca ma non fanno il tuo nome;
  7. i "io si tu no" che hanno l'impostazione che non puoi taggarli o pubblicargli qualcosa, ma a te ti impestano con di tutto di più.
  8. le "scorregge umane" in pratica quelli che se ne escono con commenti inopportuni o che non c'entrano niente col discorso;
  9. i "parlo male di te tanto non puoi leggere" che ti tolgono l'amicizia ma sparlano di te pubblicamente sulle loro bacheche;
  10. i "cazzeggiatori seriali" che passano ore a commentare un post o una foto e si divertono da morire;
  11. gli "angosciati perenni" che non vanno nemmeno spiegati;
  12. le "mamma Ciccio mi tocca, toccami Ciccio" che pubblicano foto seminude o con le boccucce a "culo di gallina" e sguardi ammiccanti, ma poi si lamentano dei commenti che ricevono;
  13. i "maniaci del selfie" che si auto-fotografano dappertutto, dal mare al bagno;
  14. i "la mia vita minuto per minuto" che postano anche dal bagno;
  15. i "gino dispensatori di perle di saggezza";
  16. i "giustizieri della notte" che si ergono a portabandiera e difensori dei più deboli anche in storie e situazioni in cui non c'entrano niente;
  17. i "ma guardate quanto sono bravo" che copiano e incollano pensieri di altri o famosi e le spacciano per proprie;
  18. gli "schifosi e incivili";
  19. i "normali" cioè tutti quelli che usano facebook come un diario con cui interagire con gli altri;
  20. "finti perbenisti" cioè i lupi travestite da pecore.



Naturalmente ognuno di questi gruppi ha dei sotto-gruppi, ma mi dilungherei troppo a elencarli e a spiegarli.

Detto tutto ciò io vi comunico che, personalmente, sono un mix dei gruppi 10/11/13/15/16/19, ma ho avuto a che fare con tutti i tipi appartenenti alle altre categorie...

E VOI...A CHE GRUPPO APPARTENETE????


Un abbraccio Annarita


giovedì 18 giugno 2015

LA DIETA DEFINITIVA CHE PORRA' FINE A TUTTE LE DIETE


Io sono espertissima di diete, e essendo espertissima, penso di essere migliore di chi le scrive, le diete, per cui, naturalmente, ne ho inventata una mia , che ho chiamato "La Dieta Definitiva Che Porrà Fine A Tutte Le Diete". 
Non abbiate paura, non ci scriverò un libro, non terrò dei corsi. 
La espongo qui gratuitamente in maniera succinta, di modo che tutti possano goderne.
È una dieta che ha un metodo preciso, e seguendola non si può non dimagrire. 
Dice così: La mattina quando vi svegliate mettetevi un cerotto sulla bocca.
(Annarita)
PENSIERI E CALZINI









Ieri pomeriggio, sul tardi, verso sera, mi son messa a guardare i miei pensieri. Stavo lì a guardarli che passavano, come si guardano i calzini che girano nella lavatrice. Vanno di qua, vanno di là, girano, si rimescolano. Qualcuno arriva in primo piano, poi sparisce dietro, un altro appare, poi scompare, e chissà dove va. Quando li tiri fuori dalla lavatrice poi, non si sa per quale strana magia, o maleficio, spesso ne manca uno. E così i miei pensieri che sono tanti, troppi, a volte si accavallano e me li perdo in un angolo buio della mente, per poi riaffiorare al momento meno opportuno (nel caso dei calzini quando, dopo aver aspettato invano mesi nella speranza di accoppiarli, decidi di buttare quello che ti guardava trepidante d’attesa). Un pensiero si preoccupava di cosa dovevo fare oggi, del cambio di stagione che mi chiama ma che da giorni faccio finta di non sentire. Un altro si chiedeva come incastrarmi tra le varie cose da fare oggi (e ho risolto non facendo niente di ciò che era previsto, ma altre cose); un altro che voleva assalire il frigorifero o la dispensa alla ricerca di qualcosa da ingurgitare, ma subito tenuto a bada dalla voce della mia coscienza “Ferma lì sei a dieta! Per te ancora solo patate!”.
Poi per fortuna è piovuto.
E ho messo il mio cervello a riposo.

                     (Annarita)
RISOTTO ALLE FRAGOLE

Oggi per voi un primo piatto alternativo in cui unire l’inconfondibile gusto, profumo e colore delle fragole al riso … fresco e delicato … DA PROVARE!!!
Ingredienti per 4 persone:
400 gr di riso carnaroli,
150 gr di fragole,
1/2 bicchiere di vino bianco,
 sale,
parmigiano grattugiato o pecorino,
burro,
500 ml di brodo vegetale.

Preparazione:

Tostare il riso e  aggiungete il brodo vegetale. A metà cottura aggiungete le fragole che avrete tagliato a cubetti  o frullate nel mixer (io lo preferisco perché da al piatto una maggiore cremosità). A fine cottura spegnete il fuoco e aggiustate di sale, aggiungete una noce di burro e mantecate.
Ricoprite con una grattugiata di parmigiano o di pecorino…guarnite con delle fragole
e….BUON APPETITO!!!!!

                                                                                           (Annarita)
MANI



Mani sulla fronte per trattenere ricordi
Mani sulla bocca per reprimere emozioni
Mani intrecciate che sciolgono grovigli di pensieri
Mani sulla guancia che asciugano lacrime di sfogo
Mani tese in avanti che attendono un abbraccio, l’ultimo
Mani che rincollano i cocci rimasti di una vita
Mani che rimangono immobili in attesa di un cenno
Mani che si uniscono per pregare Dio
Mani che invocano aiuto e amore
Mani che tendono verso il futuro luminoso 
Mani che cercano le mie
Mani che raccolgono sentimenti
Mani che tremano d'amore
Mani che guariscono il dolore
Mani tese verso il silenzio ... in cerca di un aiuto
Mani che raccolgono pensieri... per ritrovare i propri sogni
Mani strette attorno a se'... per ritrovare le forze perdute
Mani buttate a terra... nel tentativo vano di sorreggere una zavorra diventata insostenibile
Mani umide di lacrime quando la tristezza vuole urlare il proprio dolore nel proprio silenzio.
Mani che cercano...
mani che amano...
mani che accarezzano...
mani che si fondono ...
mani che si lasciano...
mani che si chiedono perchè???
Mani che urlano nel silenzio di una stanza,
Mani che uccidono la vita di una nuova creatura,
Mani sfuggenti che s'inseguono,
mani che fanno male
Mani che nutrono la fame di un bimbo,
Mani che curano il cuore di una mamma,
Mani che amano la vecchiaia 
mani che gridano l'amore..
mani ruvide di vento che cancellano il tuo dolore...
mani calde che scottano di passione...
mani intrecciate che non ti abbandonano...
Mani che brancolano nel buio
mani che cercano altre mani
mani che si aggrappano ai fili invisibili dei sogni
mani che tornano a parlare
mani che accarezzano un viso
mani che regalano emozioni
mani che......vivono ora...!!!!
Mani che ora sono fredde
Mani che ora vorrebbero spaccare il mondo
Mani che adesso sono stanche 
Mani... mani... e ancora mani... 

                                                                                               (Annarita)